(Adnkronos) – Palermo, 26 marzo 2025.La fibrillazione atriale (FA) è il tipo di aritmia più frequente, in quanto interessa l’1-2% della popolazione. Le probabilità di sviluppare questa condizione aumentano con l’avanzare dell’età ma si può verificare anche in soggetti giovani e sani: “Si tratta -spiega il professor Giovanni Fazio, EAPC Gold Membership e specialista in cardiologia- di un vero e proprio fenomeno sociale che non va affatto sottovalutato. La malattia rende impossibile un efficace contrazione delle cavità atriali che si ripercuote sulla funzionalità dei ventricoli e sul flusso sanguigno. Il che mette in pericolo il paziente se non viene inquadrata e curata correttamente. Le complicanze possono essere di varia natura e, fra queste, l’insufficienza cardiaca e l’ictus, con un rischio 4,8 volte superiore”. Si tratta insomma di una patologia che causa il maggior numero di ospedalizzazioni anche in termini di durata: “Si tratta -spiega ancora il professor Fazio- di una malattia subdola. La fibrillazione atriale infatti non dà sintomi in alcuni casi anche per tanto tempo. Molti pazienti, pur soffrendo di questo disturbo, vivono ignari della loro condizione fino a che la patologia non viene riscontrata dal medico durante un esame o una visita cardiologica. L’assenza di sintomi riguarda in genere i più giovani: questi pazienti affetti possono arrivare alla diagnosi in ritardo, riducendo le possibilità di far ripristinare il normale ritmo del cuore, che per non creare conseguenze deve avvenire entro 48-72 ore. Polso irregolare o anomalo, dolore toracico, senso di tuffo al cuore e debolezza sono invece le sensazioni che il paziente avverte quando la fibrillazione si manifesta”. Ma come si cura la fibrillazione atriale? Innanzitutto con la terapia farmacologica, che può essere di due tipologie. La prima è costituita da farmaci antiaritmici che sono in grado di prevenire o correggere l’aritmia. La seconda è una terapia anticoagulante orale che deve essere seguita quando la fibrillazione dura più di due giorni e c’è il serio rischio che si generi un fenomeno embolico: “Oggi -conclude il professor Fazio- abbiamo a disposizione coagulanti orali di facile gestione che non richiedono l’esecuzione di prelievi del sangue ogni 7/10 giorni, come accadeva in passato. L’importante è saper scegliere il ritmo del paziente. Per informazioni:
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